Quando partorire può essere un lutto

Ogni donna sogna il suo travaglio. Sogna il momento in cui finalmente abbraccerà il suo bambino, spera e si augura che tutto avvenga velocemente e in modo naturale. Veloce perché si ha paura di non farcela, veloce per non soffrire, veloce per non lacerarsi. Veloce, soprattutto, perché il bambino non soffra e non stia troppo tempo senza acque (perché per una mamma, quando si rompono le acque é sempre una preoccupazione). C’é la voglia di abbracciarlo prima possibile, anche per verificare coi propri occhi, di essere stata capace di concepire un bimbo sano. 

Ogni mamma si prepara con tutta se stessa per essere una “buona partoriente”, come se per partorire ci fosse la ricetta, come se fosse uguale per tutte, come se respirando nel modo giusto ed eseguendo i giusti compiti fosse scontato che tutto finisca nel migliore dei modi. Ma non sempre quello che una mamma si aspetta corrisponde alla realtà. A volte un cambio di rotta improvviso può farla piombare in un mondo che sembra essere tutt’altro che un sogno. 

D’un tratto si rompe il sacco, ma le contrazioni non arrivano per giorni; non c’è più tempo di aspettare l’insorgenza spontanea del travaglio, ma deve essere indotto; le contrazioni sono forti, ma non sono efficaci per la dilatazione dell’utero. E in altri casi può accadere che la dilatazione si blocca, o sono passate troppe ore da quando il sacco é rotto, o ancora peggio il cuoricino del bimbo sembra battere diversamente. E allora sì, che inizia la corsa, ma il tempo sembra dilatarsi all’infinito. 

Nessuno sa realmente cosa succede in una sala parto e quello che appare normale, per chi é del mestiere, per una mamma può apparire terrorizzante. Tutto succede troppo veloce e corpo e mente non sono sempre pronti a questa velocità. 

Poi si torna a casa e la mamma scompare: allattamento, ragadi, pannolini, un bimbo che piange e non c’è tempo per recuperare il sonno perduto. Una mamma si sente sola e inizia a giudicarsi. Giudica il suo corpo per non aver saputo partorire, per quanto non sia ancora tornato in perfetta forma anche se adesso il bimbo é uscito. Giudica il suo seno di non produrre abbastanza latte e si sente una pessima madre. Non ha certo voglia di sentire racconti di supermamme che hanno partorito in 2 ore senza punti, di altre che hanno allattato senza problemi fino a 2 anni e di bimbi che dormono tutta la notte. 

Quando guardi una mamma che ha in braccio il suo bambino, non conosci il suo vissuto, non conosci la sua gravidanza e figuriamoci il suo parto. Per favore non dirle: “ma che fai? Dovresti essere solo felice!” 
La rendi più triste che mai, lo sa da sola che si é fatta il regalo più bello della sua vita, ma adesso non é quello di cui ha bisogno. Stalle vicino, aspetta con lei che questo trauma risargisca e che quello che lei sta vivendo come il suo fallimento più grande, si trasformi lentamente nella sua più grande conquista!

ostetrica Gloria, 12 Febbraio 2020

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